Webinar “Il velo islamico: neutralità di impresa e non discriminazione”

Webinar “Il velo islamico: neutralità di impresa e non discriminazione”

Inizio: 14/12/2022

14:30

Fine: 14/12/2022

16:30

Luogo evento
Videoconferenza Microsoft Teams

La Corte di Giustizia con sentenza del 13 ottobre 2022 pronunciata nella causa C-344/20 torna ad occuparsi di discriminazione e velo islamico, quale segno distintivo di appartenenza ad una convinzione religiosa in rapporto al principio di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro stabilito dal diritto dell’Unione, più in particolare dalla direttiva 2000/78, in presenza di una regolamento  interno di un’impresa privata che vieta sul luogo di lavoro di indossare in modo visibile segni religiosi, filosofici o spirituali.

Se il tema dell'espressione delle convinzioni sul posto di lavoro non è propriamente nuovo nel panorama giuridico europeo, la maggiore visibilità delle espressioni religiose negli ultimi anni, sia in ambito aziendale sia nelle ricadute giudiziarie e mediatiche cui fanno eco, rende questi temi tanto delicati quanto attuali. Le controversie in materia sono aumentate negli ultimi due decenni, in particolare per quanto riguarda i lavoratori di fede musulmana, e ancor più specificamente le donne che indossano il velo islamico.

La maggiore visibilità della religione in azienda ha stimolato il ricorso da parte di alcuni datori di lavoro privati, particolarmente in Belgio e Francia, società multietniche, a una politica generale ed esplicita di “neutralità”, con l'obiettivo di limitare l'espressione religiosa dei dipendenti e, più in generale la manifestazione di convinzioni personali.

Questa scelta dei datori di lavoro di norma è giustificata dall'immagine che desiderano trasmettere all'esterno o dal corretto funzionamento interno dell'azienda.

Si tratta allora di mettere in discussione la tradizionale applicazione orizzontale delle nozioni giuridiche di non discriminazione e di libertà di religione nell'ambito del lavoro, nonché l'articolazione tra i diritti individuali del lavoratore, da un lato, e il diritto del datore di lavoro ad organizzare la propria attività d’impresa dall’altro.

Qual è, dunque, la compatibilità dell'applicazione generale e indifferenziata del c.d. principio di “neutralità”, inteso come barriera a qualsiasi manifestazione religiosa e/o convinzione personale nei luoghi di lavoro, con i diritti europei e nazionali in materia di non discriminazione?

A questo interrogativo risponde la Corte di Giustizia  con la sentenza in esame, la quale partendo dalle nozioni di discriminazione diretta e indiretta, esclude la prima ogni qualvolta le disposizioni aziendali siano applicate in maniera generale e indiscriminata, mentre ipotizza il ricorrere della seconda, nell’ipotesi in cui l’obbligo introdotto da un disposizione interna, apparentemente neutro, comporti un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia, non giustificato da un’esigenza reale del datore di lavoro, che spetta a quest’ultimo dimostrare.


Per il convegno è stato richiesto l'accreditamento, da parte del Consiglio Nazionale Forense, di n. 2 crediti formativi.

 

 

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